martedì 21 dicembre 2010

Sophie Taeuber-Arp (1889-1940) - Museo Picasso Malaga




Nic Aluf (1884-1954) 
Sophie Taeuber-Arp con "Tete Dada", 1920
 Collection Fondation Arp, Clamart


È impossibile resistere al fascino che la figura di Sophie Taeuber-Arp esercita su tutti coloro che si avvicina alla sua opera. Scultrice, pittrice, architetta, artigiana, ballerina, ma anche professoressa universitaria.

Personaggio a cui la storia dell’arte “ufficiale” non ha dato il giusto valore. 
Forse perché adombrata dal suo compagno, lo scultore Hans Arp o forse per altre ragioni.  

A buon dire la storica dell’arte, nonché professoressa di arte contemporanea presso  l’Università Complutense di MadridEstrella De Diego definisce la figura di Sophie Tauber-Arp “asombrosa”. 









Fotografo sconosciuto
Sophie Taeuber e Hans Arp, Arosa 1918 Stiftung Hans Arp und Sophie Taeuber-Arp e. V, Rolandswerth 













Fotografo sconosciuto 
Sophie e Erica Taeuber con vestiti dada di ispirazione Hopi, 1922 
Collection Fondation Arp, Clamart




A questa poliedrica artista svizzera, ingiustamente relegata ai margini della visibilitá e spesso offuscata dalla figura del marito, il Museo Picasso Málaga (http://www.museopicassomalaga.org/) ha dedicato lo scorso ottobre una imponente retrospettiva, Caminos de Vanguardia (Percorsi d’avanguardia). 

Più di 130 opere che raccontano il sogno di arte totale, praticato durante tutta la vita, di una donna che partecipó attivamente alla scena culturale dei suoi anni: nel 1916 fu tra i fondatori del movimento Dada insieme al marito Jean ArpTristan Tzara e ai suoi amici del Cabaret Voltaire, per i quali disegnó e realizzó burattini e scenografie. 


mercoledì 15 dicembre 2010

La fotografia come scudo



Ouka Lele, La fotografía como escudo, 2006


Ouka Lele pseudonimo artistico di Bárbara Allende Gil de Biedma (Madrid, 29 giugno 1957), fu una delle protagoniste della Movida madrileña che ebbe inizio negli anni ottanta.

Bárbara é una maga e per tale motivo attira tanta attenzione, racconta Lucía Etxebarria nella prefazione del libro Ouka Lele, edito nel 2009 da Lunwerg: "Propio es su contenido, propio su continente y ambos dos, inextricablemente unidos, remiten a algo más que la belleza: a la raíz de la belleza. A lo inmutable. Bárbara es una aparición de cuento. Sus ojos, luminosos y profundos, prometen lejanías sin fin.  En ellos se adivinan astros errantes, mundos por descubrir, países de ausencia. Bárbara busca en todas las cosas un alma y un sentido oculto, jamás se ciñe a la apariencia, sino que husmea el rastro de la verdad arcana, hasta que la capta. Y la plasma. Bárbara, lo juro, es una de las mujeres más bellas que conozco."


Ouka Lele, Peluquería, 1979












Ouka Lele, El beso, 1980







giovedì 23 settembre 2010

Jean-Michel Basquiat (1960-1988)


Jean -Michel Basquiat nell’atelier di Great Jones Street, New York, 1985
Foto: William Coupon


Non voleva essere un artista nero. Veleva essere un artista famoso

 
Da graffitista di strada a super star della pittura, Jean-Michel Basquiat è stato il Jimi Hendrix del mondo dell'arte: in meno di un decennio è diventato una celebrità.

Nei quadri di Basquiat i ragazzi non diventano mai uomini, diventano scheletri e teschi.
La presenza è espressa nell'assenza, che siano i corpi spettrali e gli schelitri scarnificati che disegna oppure le parole che barra.
E' ossesionato dalla decostruzione delle immagini e dal linguaggio del suo mondo frammentato. La sua opera è l'espessione ultima di un profondo senso del "non qui", un profondo buco dell'anima.

La prima biografia completa dell'artista: Basquiat: Vita lucente e breve di un genio dell’arte, redatta in 7 anni dalla giornalista americana Phoebe Hoban. La quale, per ricostruire nei minimi dettagli la straniante esistenza del graffitista, ha intervistato più di 200 persone, inclusi i familiari.

"Basquiat non era uno normale – scrive la Hoban nella prefazione – Viveva sullo stile paga e prendi. Ma in alcune cose era imbattibile, in centinaia di cose. Nei disegni, nei dipinti e nelle note che lo raccontavano come un test Rorschach. Basquiat viveva i suoi dipinti: ci dormiva sopra, ci camminava sopra, ci mangiava sopra".




Phoebe Hoban, Basquiat: Vita lucente e breve di un genio dell’arte, Castelvecchi Editore.


La Fondazione Beyeler (Basilea) lo scorso maggio ha celebrato l'artista nel cinquantesimo della nascita.
Oltre cento opere, tra dipinti, disegni e oggetti, ripercorrono la carriera del pittore morto giovanissimo nell'88. La mostra raccoglieva i lavori principali, accanto a opere su carta e oggetti-sculture, articolandosi in cinque fasi principali che diventano anche una strategia per scrivere la sua storiografia. 

venerdì 20 agosto 2010

M.A.U. - Museo d’Arte Urbana / Urban Art Museum - Torino



Il MAU- Museo d’Arte Urbana di Torino è il primo progetto in fase di concreta realizzazione, in Italia, avente come scopo il dar vita ad un insediamento artistico permanente all’aperto collocato all’interno di un grande centro metropolitano, con in più il valore aggiunto di essere iniziativa partita non dall’alto ma dalla base, complice il consenso ed il contributo fondamentale degli abitanti. 


Attualmente é in corso un nuovo progetto, l'artista Vito Navolio sta completando l'opera di pittura delle panchine dei giardini pubblici.


Un percorso artistico all'interno del quale le panchine diventano pagine di una storia dell'arte illustrata. Andy Warhol, Piet Mondrian, Jackson Pollok, Joan Mirò, Fortunato De Pero, Pablo Picasso, solo per fare alcuni nomi, escono dai musei e dalle riproduzioni per arredare il piccolo spazio del giardino che si affaccia su via Cibrario a Torino. 








mercoledì 18 agosto 2010

Nonluoghi



E’ uscito a fine giugno per le edizioni Eleuthera la ristampa di nonluoghi, un titolo di Marc Augè, antropologo e direttore all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi. 
Stampato in Italia per la prima volta nel 1993, questo è il titolo completo: "Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità".

Marc Augè definisce nonluoghi quegli spazi dell'anonimato ogni giorno più numerosi e frequentati da soli individui simili ma soli. 

Fanno parte dei nonluoghi sia le strutture necessarie per la circolazione accelerata delle persone e dei beni (autostradesvincoli e aeroporti), sia i mezzi di trasporto, i grandi centri commerciali, i campi profughi, eccetera. 

Spazi in cui milioni di individualità si incrociano senza entrare in relazione sospinti o dal desiderio frenetico di consumare o di accelerare le operazioni quotidiane o come porta di accesso ad un cambiamento (reale o simbolico).

martedì 10 agosto 2010

Arte & Territorio




Foto Giuseppe Di Guglielmo
Calitri, novembre 2007 


Proposta di ecomuseo e museo del territorio in Alta Irpinia

L’idea di una proposta ecomuseale e di un museo del territorio nella mia terra d’origine, l’Alta Irpinia, periferia orientale della Regione Campania, è maturata in seguito agli incontri previsti dal Master europeo in gestione e conservazione dei beni archeologici e storico-artistici, presso l’Università degli Studi di Siena, con i vari docenti, ma in modo particolare con la dott.sa Sandra Becucci direttrice del Museo del Bosco e della Mezzadria a Orgia (Sovicelle) e del  Museo del Paesaggio a Castelnuovo Berardenga (in provincia di Siena).

Capire il valore del proprio territorio può essere un buon volano da cui partire.

Sarebbe importante che cresca un’attenzione anche da parte degli amministratori e dei tecnici locali verso gli aspetti patrimoniali, non solo per una ricaduta economica di breve durata legata al turismo, ma anche in funzione del miglioramento della qualità della vita dei residenti e per il rafforzamento delle peculiarità locali.


Secondo la definizione internazionale, l'Ecomuseo è “un’istituzione culturale che assicura in forma permanente, su un determinato territorio e con la partecipazione della popolazione, le funzioni di ricerca, conservazione, valorizzazione di un insieme di beni naturali e culturali, rappresentativi di un ambiente e dei modi di vita che  lì si sono succeduti”.


 L'Ecomuseo è uno specchio in cui la popolazione si guarda, per riconoscersi, dove cerca la spiegazione del territorio al quale è legata, così come quella delle popolazioni che l'hanno preceduta. È anche un laboratorio di studio o museo a cielo aperto, una scuola o meglio un centro di educazione permanente per i residenti e per gli ospiti.

L’Ecomuseo è essenzialmente un museo che si occupa dello studio e della conservazione dell'ambiente nel suo insieme, inteso sia come ambiente naturale che culturale: è un museo dell'uomo e della natura, in cui l'uomo è interpretato nel suo contesto naturale e la natura lo è nel suo stato selvaggio, ma anche quale la società tradizionale e la società industriale la hanno adattata ai loro usi. 

L'ecomuseo tiene conto di tutte le testimonianze senza privilegiarne alcune. 
Quindi studia il paesaggio, i siti, gli edifici, i monumenti, gli oggetti e le testimonianze orali, visive e scritte. L'ecomuseo è un museo all'aperto che comprende tutto il territorio di riferimento.

E' formato da una serie di sedi dislocate nella comunità, di cui è una sede principale, e da itinerari che, attraversando il territorio, ne evidenziano gli aspetti particolari.




I presupposti per la realizzazione di questo progetto si fondano sui legami che la comunità locale intrattiene con il proprio territorio e la propria storia.

L’Ecomuseo, secondo la definizione dell’IRES, rappresenta un patto con il quale la comunità locale s’impegna a prendersi cura del territorio e a conservare le proprie tradizioni. 

Giuseppe di Guglielmo 

domenica 8 agosto 2010

Soundscape / Paesaggio sonoro




Foto Giuseppe Di Guglielmo
Paesaggio irpino, agosto 2010



Per paesaggio sonoro, traduzione dall'inglese soundscape, si intende, nelle parole del compositore canadese Raymond Murray Schafer che coniò per primo l'espressione, "un qualsiasi campo di studio acustico [...], una composizione musicale, un programma radio o un ambiente".


E se fossero i suoni, e non le immagini, lo strumento migliore per raccontare la storia? Lo credono, e lo mettono in pratica ogni giorno raccogliendo, registrando e archiviando rumori "sporchi" o "puliti" nei parchi, nelle città, nei villaggi, gli studiosi della auditory culture con le loro soundscape research, come quella in corso in Sicilia ormai da molti anni. 


"Il Soundscape - racconta Stefano Zorzanello, a Torino per un seminario dedicato a questi studi, ma normalmente impegnato nella 'mappatura' sonora di Catania - è stato definito come una sinfonia incompiuta e senza forma di cui siamo contemporaneamente i compositori, gli esecutori e gli ascoltatori. 
Oggi però questa 'sinfonia' rischia di essere in gran parte coperta da rumori uguali in tutte le città, come il suono di motori, sistemi di raffreddamento, reti elettriche eccetera e non si può ascoltare che per porzioni limitate, molto precise e localizzate". 


"Una volta che un'impronta sonora è stata identificata - sostiene Schafer, il 'maestro' dei cacciatori di suoni di tutto il mondo - meriterebbe di essere protetta, perché rende unica la vita acustica di una comunità e spiega il carattere delle persone che ci vivono"

"Raccogliere e conservare i suoni - secondo
 lo storico Peppino Ortoleva - è una tendenza legata alla consapevolezza che questi 'paesaggi sonori' possono scomparire. 
E alla quale si va oggi affiancando, soprattutto nel mondo anglosassone e in Francia, una nuova storiografia degli ambienti sonori, che racconta ad esempio i rumori al tempo di Shakespeare, dell'America dell'Ottocento o della Francia dei Villaggi". 


Non importa quanto pulito o tecnologico sia il suono raccolto ma - proprio come per i fotografi - quanto sa raccontare ed evocare, restituendo atmosfere che credevamo perdute. 


(da: Repubblica 30 ottobre 2008 Vera Schiavazzi)